“The last days of Pompeii” è il titolo di una nuova mostra che ha aperto i battenti lo scorso 12 settembre e che resterà visitabile fino al 7 gennaio 2013 al J.Getty Museum di Malibu, California. L’organizzazione è stata curata da Kenneth Lapatin, curatore del museo, dal Museo d’arte di Cleveland e dal Musée des Beaux-Arts del Quebec.
Lo spazio espositivo è suddiviso secondo tre nuclei: la decadenza, l’apocalisse e la resurrezione e alterna dipinti neoclassici, preraffaelliti a reperti antichi che a loro volta si mescolano a fotografie e immagini tratte da filmati. Nella sezione Decadenza sono esposte fotografie dell’archivio personale di Alma Tadema, dove si vedono giovani vestiti come gli antichi romani che posano tra le rovine di Pompei. Si parte dall’idea che si è avuta di Pompei nel corso dei secoli: cioè che l’eruzione sia stata una punizione divina per il peccato, la sfrenata sessualità e la violenza spesso gratuita.
Nella sezione Apocalisse si dimostra come l’eruzione vesuviana del 79 d. C. sia stata, e lo è ancora, simbolo universale anche per tutte le altre tragedie che si sono abbattute sull’umanità dalla seconda guerra mondiale con lo scoppio in particolare della prima bomba atomica. Di altra idea gli artisti del XVIII-XIX secolo che hanno visto l’eruzione del Vesuvio come una celebrazione della terrificante ma anche bellissima potenza della natura. Indicativa testimonianza degli effetti della tragica eruzione è una fotografia di Giorgio Sommer che mostra il calco del cane della Casa di Vesonio Primo incatenato e in preda agli spasmi della morte.
Nella sezione Resurrezione, infine, si pone l’attenzione su come la riscoperta delle realtà perdute di Pompei, Ercolano e Stabia, abbia dato il via alla nascita dell’archeologia vesuviana e non solo permettendo di conoscere in più di trecento anni di scavi, la vita delle città romane. Sono esposte tre opere d’arte su di una parete. La prima è un bassorilievo di una donna che cammina e che diventa ispirazione per una storia pubblicata su un giornale austriaco. La seconda opera è una reinterpretazione di Gradiva di Andrè Masson del 1939 e accanto un’opera di Salvador Dalì del 1932.
da Antika notizie