“Caius Quinctius Valgus figlio di Caius e Marcus Porcius figlio di Marcus, come duoviri quinquennali, a manifestazione d’onore per la colonia, fecero costruire a proprie spese l’edificio per gli spettacoli, e lo destinarono in uso perpetuo ai cittadini della colonia”, questa lastra in travertino posta all'entrata dell'anfiteatro di Pompei, testimonia l'anno di costruzione (circa 80 a.C.) e lo indica, quindi, come il più antico edifico per spettacoli giunto a noi in buone condizioni. Il termine anfiteatro, di derivazione greca, è indicato per la prima volta da Vitruvio, e rappresenta una struttura ellittica composta da un'arena in cui si svolgevano gli spettacoli e intorno, uno spazio destinato al pubblico, e non come si pensava inizialmente e erroneamente l'unione di due teatri.
L'edificio fu costruito nella poco urbanizzata zona sud-est della città, addossandolo alle mura cittadine il cui terrapieno sorreggeva gli spalti orientali e meridionali. Le pareti settentrionali e occidentali della struttura erano rette, invece, da contrafforti con arcate cieche, ad eccezione dei due grandi corridoi di accesso all'arena che spesso erano occupati da venditori ambulanti, così come risulta da alcune iscrizioni rinvenute. A Pompei, l'anfiteatro era definito spectacula, ed era un luogo di aggregazione, svago e spesso di contrattazioni politiche o commerciali. Data la numerosa affluenza, infatti, l'edificio poteva ospitare fino a 20,000 spettatori. Le gradinate (cavea), costruite in un secondo momento, erano in tufo e divise in tre settori. La ima cavea (prima fila) per i cittadini di alto rango, la media e la summa, destinate a tutti gli altri, più in alto con gallerie di accesso (crypta) indipendenti costruite sia per sostenere il peso del terrapieno che per garantire un afflusso ordinato del pubblico. L'anfiteatro era dotato di un velarium, un enorme velo, probabilmente di lino,utilizzato per riparare gli spettatori dal sole. Una articolata serie di travi inserite in anelli in pietra sostenevano il velarium, la cui presenza era molto apprezzata, e segnalata nelle iscrizioni che reclamizzavano gli spettacoli con la dicitura "et vela erunt".
L'intera struttura dell'anfiteatro è ricostruita in un noto affresco, ora al Museo Archeologico di Napoli, che documenta l'episodio della rissa fra Nocerini e Pompeiani del 59 d. C., narrato anche da Tacito negli Annali (XIV, 17 e segg.). La zuffa, che causò numerosi morti e feriti, è facilmente riconducibile alla discordia tra i cittadini nata in seguito alla decurtazione di alcuni territori a discapito di Pompei, avvenuta nel 57 d. C. quando Nocera divenne colonia. La gravità dell'accaduto provocò l'intervento dell'allora Imperatore Nerone, che impose la chiusura dell'anfiteatro per dieci anni, e punì i responsabili con l'esilio, ma il provvedimento fu annullato dopo il terremoto del 62 d.C. e la struttura, come ci indica un'iscrizione, fu restaurata a spese di Caius Cuspius Pansa.
L'anfiteatro di Pompei era destinato sopratutto alle lotte tra gladiatori. Questi lottavano, generalmente, utilizzando una corta spada detta gladium, dalla quale veniva il termine gladiator. Gli scontri avvenivano tra coppie (paria) composte da lottatori con armature diverse, o tra due squadre (familiae) di gladiatori. Tra le principali categorie di gladiatori c'erano il traex, il retiarius, il secutor, il controretiarius, il murmillo e il samnes, essi erano schiavi e malfattori che tentavano, in questo modo, di riscattarsi. L'addestramento avveniva in palestre e scuole specifiche, attraverso durissimi allenamenti, ma la fatica ed il rischio venivano ricompensati dal tifo e dall'ammirazione della folla, specialmente quella delle donne, come documentano alcuni graffiti in loro onore.